La nostra bussola è finita come un cristallo schiantato sulla roccia mentre la bufera si scaglia con violenza e spazza via i resti risucchiandoli nel cuore degli abissi. Così. Si sta come d’autunno le foglie. Con il destino cadenzato da avvenimenti che segnano il ritmo delle stagioni. E prima o poi tocca anche l’inverno. Cupo e gelido come la morte. E alla morte si sopravvive con un miracolo terrestre, oppure con il passaggio alla vita eterna. Per chi ci crede. Ma un suicida non ne ha diritto. Lo dicono le Sacre scritture. La depressione è quel cane che ti morde al polpaccio e che – come la lebbra – ti sbrindella le carni.
La salvezza? No, non è per questa terra. Si vive proiettati verso una dimensione ‘edenistica’, è vero, ma in quanti ci credono davvero? Tutti a strapparsi i capelli quando arriva una notizia che oltre che lasciare senza fiato e senza parole porta con sé la severità delle emozioni. A quel paese la vita. Già, a quel paese. Viviamo la schizofrenia delle giornate senza senso, rincorrendo le emozioni giovanili. Poi ti accorgi che i giovani stanno peggio, anelano la morte perché sono senza futuro. Loro non ne hanno mai avuto uno, figuriamoci se riconoscono il passato. Si intrattengono con l’idea della morte perché non conoscono la vita, forse. Una tempesta vitale, scappa da dire. Cioè viviamo nella tempesta perpetua, senza schemi, senza indugi, andiamo ‘Cuor di leone’ spavaldi nell’ironia (perché non ci resta che quella) delle avventure off-limits di tutti i giorni. Poi, i grandi, si chiedono perché le quattordicenni si fanno toccare dagli uomini avidi di sesso per una borsa griffata. O perché i trentenni passano ancora le giornate con lo spinello in mano ‘tanto per passare il tempo’. Che capiscono loro di spinelli? È un metodo anche curativo altrove, fuori dall’Italia bigotta. I grandi si chiedono perché i figli non hanno voglia di cercare un lavoro, o fare sport. O dedicarsi alle opere. Di qualsiasi genere.
I grandi non capiscono. E se capiscono manipolano la realtà.
Le regole? La deriva, si dice, è vicina ma non tocchiamo mai terra. Forse perché una terra non esiste. E le regole sono un palliativo. Chi le rispetta? Viviamo senza regole, senza dignità, senza visione. A che serve tutto ciò se poi il mondo è dominato dal caos, dalla viltà, dall’affarismo finalizzato all’arricchimento? E dalla depressione che smantella quel po’ di materia grigia? Stiamo consumando – o forse lo abbiamo già fatto e non riusciamo a rendercene conto – l’epidermide sociale che ci garantiva l’equilibrio tra generazioni e tra modelli di vita. La dicotomia bello-brutto, anziano-giovane, ricco-povero, brillante-sfigato, si è spappolata in quella (in)civiltà che abbiamo creato come un mostro: quell’abominevole peccato di ingordigia che ha azzerato le coscienze.
Chi ci orienterà ora che si è sbriciolato l’universo di quelle regole? I genitori fanno gli amici, gli amici fanno gli amanti, gli amanti si scambiano i partner per vantaggi sociali, si confondono, si infilano negli scenari clandestini della società per erodere consenso politico e professionale. La confusione ci rende schiavi senza volto in balia del mostro.
Dov’è la salvezza senza le regole? Solo renella tra le mani che presto il vento porta via. Una lieve folata e la storia di quella sabbia dispersa nell’aria. Se la nostra vita è fondata sulla sabbia è facile che vacilli.
Chi farà rispettare le regole ora che il mostro s’affaccerà e ruggirà dagli abissi marini? Lo stridore ci rende sordi e la confusione ci rende ciechi..
Con coraggio, don Carlo, durante la sua prima dichiarazione pubblica (la fiaccolata per Vincenzo Massaro) ebbe a sottolineare: “La voce del paese è la voce del silenzio”, e non si riferiva al nome della nostra testata giornalistica. ‘Un bel tacer – in ogni caso – non fu mai scritto’, e per quanto ci consta registriamo il desiderio di restare nelle regole e di ripristinarle. Se la bussola si è rotta, con l’aiuto di una lanterna, si può consultare la mappa. E non occorre essere boy-scout per imparare a leggere una mappa. Così come non occorre essere un uomo di legge per rispettare le regole.
Ecco, questo è quello che ci ha ispirato il montaggio dell’immagine di copertina della settimana scorsa.
[editoriale de La voce del paese del 9 novembre 2013; la foto raffigura una donna in stato di incoscienza a Milano, tratta dal Giornale]
Commenti
La Parrocchia Santa Croce deve rivivere, così come la buonanima di Don Nicola e del giovane prete don Giannni, la lasciarono!
Lei con la presenza più frequente tra la gente, con le parole del buon pastore probabilmente ci sentiremmo protetti e meno soli, forse ameremmo di più la Chiesa!
Grazie don Carlo per quello che potrà dare a noi poveri derelitti!
Poveri noi Vito del post 1, questo il motivo per cui da tempo ci costringono a subire amministrazioni indecenti!
E meno male che per i sempliciotti come noi c'è chi organizza balli, balletti, musichette e * varie!
Questa la ragione per la quale un consigliere comunale, tra le tante baggianate sputate dalla sua inutile bocca, un tempo ha dichiarato:
"la cultura non da da mangiare"!
Che dire, caro sventurato Vito, forse il non capire ci rende più felici!
Evviva il non conoscere!